La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa che colpisce in modo progressivo le strutture cerebrali
A cura di Antonella Petris 28 Ottobre 2019
La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza degenerativa che colpisce in modo progressivo le strutture cerebrali. Ma nonostante i soggetti maggiormente a rischio siano gli anziani, si assiste a un incremento nell’insorgenza delle forme giovani.
Se infatti l’esordio della patologia si conclama prevalentemente in eta’ senile, oltre i 65 anni, è sempre più frequente che si manifesti in precedenza: il 5-10 per cento di tutti i casi riguarda persone al di sotto dei 65 anni; con la possibilità, in casi di malattia genetica dominante – per cui i figli possono ereditare da uno dei genitori la parte di DNA che genera la malattia – di un esordio tra i 35 anni e i 60 anni di eta’. Per questo motivo e’ bene conoscere i sintomi della sua forma precoce.
“La malattia di Alzheimer a esordio giovanile include principalmente le forme familiari che presentano una notevole compromissione della memoria episodica – spiega Salvatore Cuzzocrea, professore ordinario di Farmacologia all’Universita’ di Messina –. Rispetto ai malati di Alzheimer in eta’ senile, le persone affette da Alzheimer precoce sono meno colpite da malattie cerebrovascolari, renali e cardiache. Anche se il minimo comune denominatore e’ lo stesso, tra le caratteristiche cliniche proprie dei pazienti con malattia giovanile ritroviamo deficit delle funzioni esecutive e deficit della produzione verbale, che si associano alla perdita della memoria a breve termine. Alcuni pazienti presentano poi un’importante compromissione del processo visivo di individuazione e percezione degli oggetti”.
In questo contesto risulta quindi molto importante una diagnosi precoce, con la possibilita’ di aprire a trattamenti farmacologici in grado di ritardare l’esordio della malattia.
“Numerose evidenze oggi dimostrano un’associazione tra malattie neurodegenerative, in particolare malattia di Alzheimer, e neuroinfiammazione che può avere inizio tempo prima che si abbia una perdita significativa della popolazione neuronale – spiega l’esperto -. Il processo neuroinfiammatorio e’ caratterizzato da interazioni di tipo immunitario che determinano l’attivazione di microglia, astrociti, mastociti residenti nel sistema nervoso centrale, citochine, chemochine e relativi processi molecolari. L’attivazione di questo pool di cellule non-neuronali rappresenta la vera causa del danno degenerativo a carico del neurone”.
Controllare la neuroinfiammazione cerebrale potrebbe dunque preservare la memoria nei soggetti affetti da Alzheimer.
“L’insorgenza di fenomeni neuroinfiammatori rappresenta dunque un primo campanello d’allarme e nel contempo una finestra temporale sulla quale iniziare ad agire – prosegue Cuzzocrea -. Recenti studi hanno sottolineato come l’ultramicrocomposito PeaLut (palmitoiletanolamide co-ultramicronizzata con Luteolina) sia in grado di modulare l’azione delle cellule non-neuronali e l’effetto dello stress ossidativo migliorando le funzioni cognitive e i disturbi comportamentali dei pazienti. Da cio’ consegue che il moderno intervento terapeutico deve focalizzarsi su rimedi in grado di contrastare la neurodegenerazione modulando l’attivazione delle cellule non-neuronali residenti nel sistema nervoso centrale”.
articolo da meteoweb.eu